Clima e Global Warming
MODELLISTICA CLIMATICA
Un nuovo modello climatico del Mediterraneo, che integra dati oceanografici, geologici e geofisici, fornisce previsioni di innalzamento del livello del mare molto dettagliate
09.07.2018
Testo dell’articolo
Nell’Italia continentale sono state individuate 4 località, tutte sul versante adriatico: tre in Abruzzo (Pescara, Martinsicuro (Teramo) e Fossacesia (Chieti)) e una in Puglia (Lesina (Foggia)), con previsione di arretramento delle spiagge e delle aree agricole. Le altre 3 zone individuate sono tutte sulle isole con differenti estensioni a rischio, dai 6 km2 di perdita di territorio a Granelli (Siracusa), ai circa 2 km2 di Valledoria (Sassari), fino a qualche centinaio di m2 a Marina di Campo sull’Isola d’Elba (Livorno).
Queste nuove mappe di rischio allagamento sono state elaborate da un nuovo modello climatico su cui i ricercatori dell’ENEA, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston e la comunità scientifica italiana, stanno lavorando grazie al supporto del supercomputer CRESCO 6 dell’ENEA, che integra dati oceanografici, geologici e geofisici per previsioni di innalzamento del livello del Mediterraneo molto dettagliate e a breve termine.
Finora le proiezioni di aumento del livello del mare erano su dati dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), la maggiore istituzione mondiale per il clima, che stimano l’innalzamento globale delle acque marine fino a quasi 1 m al 2100. Ma questi dati difettano di dettagli regionali e per colmare questa lacuna si sta realizzando un modello unico al mondo che combina diversi fattori, come la fusione dei ghiacci terrestri (principalmente da Groenlandia e Antartide) l’espansione termica dei mari e degli oceani per l’innalzamento della temperatura del Pianeta, l’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi e dalle maree, ma anche l’isostasia e i movimenti tettonici verticali che caratterizzano l’Italia, un paese geologicamente attivo dove si manifestano con grande frequenza bradisismi e terremoti anche nelle aree costiere. Il Mediterraneo, infatti, ha caratteristiche del tutto particolari: prima di tutto assomiglia più a un lago che a un mare, in quanto bacino semichiuso ‘alimentato’ principalmente dall’Oceano Atlantico, attraverso le Stretto di Gibilterra, ma anche dal Mar Nero attraverso lo Stretto dei Dardanelli. Questo travaso di acque avviene perché l’Atlantico è più alto di 20 cm e il Mar Nero di 50 cm rispetto al Mediterraneo, il cui livello è comunque stimato in crescita nei prossimi anni per l’aumento delle temperature.
La mappatura delle sette nuove aree costiere italiane a rischio inondazione va ad aggiungersi a quelle già individuate dall’ENEA nell’area costiera dell’alto Adriatico compresa tra Trieste, Venezia e Ravenna, nel golfo di Taranto e nelle piane di Oristano e Cagliari. Ma altri tratti di costa a rischio sono stati rilevati in Toscana (Versilia) nel Lazio (Fiumicino, Fondi e altre zone dell’Agro pontino) in Campania (piane del Sele e del Volturno) e in Sicilia (aree costiere di Catania e delle isole Eolie).
Negli ultimi 200 anni il livello medio degli oceani è aumentato a ritmi più rapidi rispetto agli ultimi 3.000 anni, con un’accelerazione allarmante pari a 3,4 mm/anno solo negli ultimi due decenni. Senza un drastico cambio di rotta nelle emissioni dei gas a effetto serra, l’aumento atteso del livello del mare entro il 2100 modificherà irreversibilmente la morfologia attuale del territorio italiano, con una previsione di allagamento fino a 5.500 km2 di pianura costiera, dove si concentra oltre la metà della popolazione italiana.
Testo redatto su fonte ENEA del 5 luglio 2018
Images credit: ENEA/ENEA Channel
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STRATEGIE LOW-CARBON
É possibile ridurre le emissioni di CO2 prodotta dagli impianti di lavorazione del carbone, gas naturale e petrolio, sfruttando l’H2S contenuto nelle fonti energetiche stesse
03.11.2015
Testo dell’articolo
Nello specifico, mediante la reazione chimica (CO2 + 2H2S → CO + H2 + S2 + H2O) e l’unità produttiva per realizzarla in modo efficiente, un reattore termico rigenerativo permette di sfruttare le proprietà riducenti dell’H2S per abbattere la CO2. Il risultato è una miscela di gas pulita e riutilizzabile (syngas, che serve a generare potenza, produrre vettori energetici come il metanolo e carburanti sintetici), zolfo elementare (che ha un suo mercato) e acqua. Questo comporta il taglio netto alle emissioni di CO2 negli impianti chimici e la completa rimozione dell’H2S (e quindi consumo contemporaneo di due prodotti di scarto) ottenendo al contempo syngas e sottoprodotti non nocivi e riutilizzabili.
Contrariamente ad altre tecnologie che richiedono processi ex novo, con la sostituzione di una sola unità, il sistema si adatta da subito, e senza particolari modifiche, alla maggior parte degli impianti esistenti. La reazione, inoltre, è già applicabile a processi operanti su larga scala e quindi già efficace per un’immediata riduzione della CO2, senza alcuna emissione aggiuntiva o utilizzo sconsiderato di energia. La capacità della reazione di utilizzare lo zolfo contenuto nelle fonti energetiche per ridurre le emissioni è un vantaggio che apre scenari strategici per l’utilizzo di giacimenti di carbone, gas naturale e petrolio particolarmente ricchi di questo elemento chimico e per questo non sfruttati. Per questo, saranno proprio i maggiori giacimenti al mondo, per quantità di carbone e contenuto di zolfo, ad essere potenzialmente interessati, grazie all’elevata concentrazione di zolfo che gioca infatti un ruolo strategico nella mitigazione degli effetti della CO2.
Il taglio netto delle emissioni per i grandi impianti è infatti direttamente proporzionale alla quantità di H2S trattata e può raggiungere anche il 40% per impianti di raffinazione del petrolio, impianti di estrazione e purificazione del gas naturale, impianti di gassificazione del carbone e impianti siderurgici. La CO2 “risparmiata” è anche maggiore dal momento che gli impianti attuali bruciano letteralmente l’H2S perdendo di fatto l’elevato contenuto di idrogeno di tale molecola, producendo anidride solforosa (SO2) e ulteriore CO2. Si stima, ad esempio, che con l’utilizzo di questa tecnologia, un comune gassificatore di carbone possa produrre energia al 120% delle proprie potenzialità pur producendo il 15% in meno di CO2. Le applicazioni sono molteplici: dalla sintesi del metanolo e dell’ammoniaca, dalla produzione di acido solforico alle unità di recupero zolfo, dal processamento del gas naturale e degli oli pesanti/esausti fino alla raffinazione, alle bioraffinerie e alla produzione di biogas.
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 21 ottobre 2015
Image credit: Gary Braasch/World View of Global Warming, 2005
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STRATEGIE LOW-CARBON
Per contribuire a contenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 2 °C, l’Italia deve intervenire drasticamente sul proprio sistema energetico entro il 2050
13.10.2015
Testo dell’articolo
Il rapporto analizza le sfide che il sistema energetico italiano si troverà ad affrontare, insieme agli eventuali sviluppi tecnologici che dovranno essere perseguiti, per contribuire a contenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 2 °C entro il 2050. Nello specifico, per valutare le condizioni tecnologiche e infrastrutturali che consentirebbero un tale percorso, il rapporto esamina tre percorsi alternativi che potrebbero ridurre le emissioni di CO2 in Italia di almeno il 40% nel 2030 e dell’80% nel 2050, rispetto al 1990, e ne effettua la valutazione dell’impatto macroeconomico. Nella parte conclusiva sono evidenziati gli eventuali sviluppi tecnologici e le scelte politiche da perseguire per raggiungere l’obiettivo.
Il rapporto italiano è stato redatto nell’ambito del Deep Decarbonization Pathways Project (DDPP), un progetto internazionale che si propone di comprendere e indicare come i Paesi più interessati possono concretamente orientarsi verso un’economia a basse emissioni di gas serra. Promosso dall'”Institut du Développement Durable et des Relations Internationales (IDDRI)” di Parigi e dal “Sustainable Development Solutions Network (SDSN) – A global initiative for the United Nations”, il DDPP coinvolge 16 gruppi di ricerca di altrettanti paesi: Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Sud Africa, Sud Corea, Regno Unito e Stati Uniti d’America.
Testo redatto su fonte ENEA del 24 settembre 2015
Per approfondimenti: Pathways to deep decarbonization in Italy (2015)
Deep Decarbonization Pathways Project: deepdecarbonization.org
Image credit: NASA/JPL Ocean Surface Topography Team, 2010
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CAMBIAMENTO CLIMATICO
Per comprendere e prevedere i cambiamenti climatici in modo sempre più accurato, una ricerca CNR utilizzerà droni marini per studiare i ghiacciai delle isole Svalbard
08.07.2015
Testo dell’articolo
Per ovviare al rischio di lavorare in prossimità dei tre ghiacciai, dove il dislocamento di grandi pezzi di ghiaccio è una possibilità concreta, il team si servirà di Shark, un piccolo robot marino autonomo semi-sommergibile (USSV – Unmanned Semi-Submersible Vehicle) che effettuerà le misurazioni dei parametri ambientali ed i campionamenti di acqua. Il veicolo robotico, un drone con un concentrato di alta tecnologia, dotato di bussola e GPS, sistema di controllo automatico, radio per l’invio dei comandi e la ricezione di immagini e telemetria, raccoglierà dati sull’interfaccia aria-mare-ghiaccio.
L’equipaggiamento prevede sensori aggiuntivi: un pirometro per misurare la temperatura superficiale dell’acqua, la sonda multi-parametrica per acquisire i valori di conduttività dell’acqua, temperatura, PH, redox e ossigeno disciolto, e un ecoscandaglio per mappare la batimetria del fondale. Considerati i piccoli iceberg che potrebbero ostacolarne gli spostamenti e per aiutarne la navigazione, Shark sarà assistito da un drone volante ad otto eliche, dotato di foto e videocamera con le quali potrà anche riprendere il fronte del ghiacciaio.
Testo redatto su fonte CNR del 16 giugno 2015
Per approfondimenti sul progetto UVASS: www.issia.cnr.it/wp/?portfolio=uvass
Image credit: ISSIA-CNR
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STRATEGIE LOW-CARBON
Istituita nel 2014, l’Oil and Gas Climate Initiative (OGCI) si propone di catalizzare azioni concrete sui cambiamenti climatici attraverso la condivisione di best practice
12.06.2015
Testo dell’articolo
Le società che fanno parte dell’OGCI producono insieme quasi 25 milioni di barili di olio equivalente al giorno, circa un sesto della produzione mondiale di petrolio e di gas. L’OGCI e le aziende che ne fanno parte sono impegnate in un ambizioso piano di azione per contribuire alla lotta al cambiamento climatico. Il piano è inteso a rafforzare in modo proattivo la collaborazione, la condivisione delle informazioni e gli aspetti di comunicazione per ottimizzare la gestione delle emissioni dei gas serra del settore oil & gas e per aiutare a guidare la transizione verso un’energia a basso contenuto di carbonio.
In concomitanza con la Paris Climate Week 2015, l’OGCI ha tenuto il suo primo multistakeholder workshop di alto profilo per discutere dei contributi del settore alla mitigazione del cambiamento climatico. Durante l’evento, gli esperti di un’ampia rappresentanza di stakeholder del settore oil & gas hanno partecipato a workshop tecnici sulle tre aree tematiche prioritarie:
– ruolo del Gas Naturale – include il ruolo del gas naturale nel mix energetico, la gestione delle emissioni di metano, la riduzione del gas flaring, e l’efficienza energetica;
– strumenti per ridurre l’utilizzo di carbonio – gestire le emissioni di gas serra e migliorare l’efficienza operativa e produttiva delle società oil & gas;
– soluzioni di lungo periodo – sviluppare una visione di lungo termine del mix energetico e valutare tecnologie innovative, la regolamentazione e il cambiamento del comportamento dei clienti.
I risultati del workshop contribuiranno al primo report dell’OGCI, che sarà pubblicato in vista della 21ma edizione della Conference of the Parties to the UNFCCC (COP21). Il report evidenzierà le azioni pratiche adottate dalle aziende che fanno parte dell’OGCI per migliorare la gestione delle emissioni dei gas serra e per evolvere nel lungo periodo verso un’energia a minor contenuto di carbonio.
Testo redatto su fonte OGCI del 28 maggio 2015
Per approfondimenti sull’OGCI: www.oilandgasclimateinitiative.com
Image credit: OGCI
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CAMBIAMENTO CLIMATICO
ENEA: nel 21° secolo tendenza allo “spostamento” del clima Mediterraneo verso le regioni del Nord con progressivo inaridimento delle aree mediterranee più meridionali
10.12.2014
Testo dell’articolo
“La novità di quest’analisi è che per la prima volta viene fornita chiara evidenza, nelle proiezioni climatiche del 21esimo secolo, della tendenza allo ‘spostamento’ del clima Mediterraneo verso le regioni del Nord e del Nord Est ed il progressivo inaridimento delle attuali aree mediterranee più meridionali” aggiunge il climatologo. Lo studio evidenzia in particolare che per le sue caratteristiche, il clima mediterraneo è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, ed è per questo che le attuali zone Euro-Mediterranee meridionali sono tra le più minacciate, con particolare riferimento all’Italia peninsulare e al sud della Spagna, alla Grecia e alla Turchia. In questi Paesi, la forte riduzione delle precipitazioni estive ed invernali, potrebbe determinare un progressivo inaridimento del suolo, con impatti sugli ecosistemi, sulla produzione agricola, sulla disponibilità di acqua e, di conseguenza, sulle attività industriali che dipendono dalla disponibilità idrica.
“Tutto ciò –avverte Alessandri- potrebbe avere ripercussioni molto negative su economia e qualità della vita, in particolare nelle zone a maggiore densità abitativa”. Ma non solo. Nelle aree mediterranee più a nord, l’incremento delle piogge invernali e le estati più aride potrebbero accrescere la vulnerabilità ad eventi come alluvioni e allagamenti nella stagione invernale, più rischi di siccità, incendi e scarsità di risorse idriche in estate. Nelle regioni dell’Europa nord-occidentale, Balcani settentrionali ma anche in parte di Gran Bretagna e Scandinavia, invece, il clima potrebbe diventare, nel corso di questo secolo, sempre più come quello tipico del Mediterraneo, con estati molto più secche ed inverni più piovosi rispetto ad oggi.
Le proiezioni mostrano che le aree mediterranee si ‘espanderanno’ anche verso le regioni europee continentali, coinvolgendo anche Paesi come l’Ucraina, il Kazakistan e la Russia sud-occidentali, dove sarà favorito un clima più mite caratterizzato da un aumento delle temperature invernali. E lo stesso fenomeno potrebbe interessare anche il continente nord americano, in particolare la parte occidentale del Nord America.
Testo redatto su fonte ENEA del 9 dicembre 2014
Per approfondimenti: Robust assessment of the expansion and retreat of Mediterranean climate in the 21st century – Nature Scientific Reports | 02.12.2014
Image credit: Scientific Reports (2014) DOI: 10.1038/srep07211
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EMISSIONI DI GAS SERRA
Carbon budget: uno studio italo-americano propone di imputare le emissioni di CO2 ai Paesi dove i beni e i servizi prodotti sono realmente utilizzati e consumati
11.06.2014
Testo dell’articolo
Il cambio della base di calcolo delle emissioni di gas serra è uno dei quattro elementi della proposta contenuta nello studio “A compromise to break the climate impasse” pubblicato sulla rivista Nature Climate Change. Gli altri tre elementi suggeriti dai ricercatori per raggiungere, appunto, un compromesso che permetta di rompere lo stallo sulle decisioni per limitare il climate change sono, nell’ordine, 1) limitare la discussione iniziale ai 13 Paesi MEF (Major Economies Forum) dove gli accordi potrebbero essere raggiunti più agilmente rispetto alle Nazioni Unite; 2) distribuire il carbon budget fra i Paesi in base ai principi di responsabilità (calcolata sullo storico delle emissioni di CO2 dal 1990 al 2010) e ricchezza (calcolata in base al PIL pro capite); 3) riportare infine il compromesso raggiunto fra i membri del MEF in sede ONU dove a quel punto sarebbe più semplice estenderlo a tutti gli altri Stati.
Ma come funziona la contabilità di CO2 basata sul consumo? Attualmente la contabilità delle emissioni registra quelle effettivamente prodotte da ciascun Paese. L’idea dello studio è invece di imputare le emissioni di CO2 ai Paesi dove i beni e i servizi prodotti sono realmente utilizzati e consumati. Ad esempio, le tonnellate di gas serra immesse nell’atmosfera dalla Cina per produrre le auto che poi sono vendute sul mercato europeo andrebbero imputate all’Unione Europea e sottratte alla Cina.
“Il passaggio da una contabilità della CO2 basata sulla produzione a una basata sul consumo – spiega Marco Grasso – aiuterebbe a trovare un accordo sul clima perché i due Paesi leader sulla scena mondiale, Cina e Stati Uniti, sarebbero, rispettivamente, avvantaggiati o non eccessivamente penalizzati e quindi sarebbero invogliati a adottare un’azione internazionale concertata per abbattere le emissioni. La riduzione di emissioni del 2% entro il 2050 per gli Usa è addirittura al di sotto degli obiettivi recentemente fissati dal Presidente Obama”. Il “costo” più alto in termini di riduzioni delle emissioni sarebbe sostenuto dall’Unione Europea che, con il nuovo sistema di calcolo basato sui consumi, sarebbe costretta ad abbatterla del 7%. “Tuttavia – aggiunge Grasso – anche l’Unione Europea troverebbe la sua convenienza in questo compromesso. La UE, infatti, ha definitivamente perso la leadership sul clima dopo la conferenza di Copenaghen del 2009. Sopportando e sostenendo una riduzione così consistente tornerebbe a giocare un ruolo centrale nelle politiche internazionali sul clima e sulla protezione dell’ambiente”.
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 9 giugno 2014
Per approfondimenti: A compromise to break the climate impasse – Nature Climate Change | 08.06.2014
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STRATEGIE LOW-CARBON
IPCC, V Rapporto sui cambiamenti climatici: ridurre entro il 2050 le emissioni del 40-70%, puntando su nuovi modelli di investimento a basse emissioni di carbonio
16.04.2014
Testo dell’articolo
Sempre secondo il Rapporto, già oggi qualsiasi beneficio derivante dall’aumento delle temperature – per esempio la possibilità di coltivare particolari piante a latitudini più settentrionali – è insignificante rispetto ai danni. E gli effetti negativi sono destinati ad aumentare se le temperature continueranno a salire con un impatto più forte e più evidente sui sistemi naturali: scioglimento dei ghiacciai e dei ghiacci polari, primavere sempre più precoci che si traducono in inondazioni, ondate di caldo e siccità. Ma ci sono conseguenze anche sui sistemi umani, come l’aumento di malattie tropicali.
Per rimanere al di sotto dei due gradi di aumento della temperatura media globale entro fine secolo, secondo gli esperti, bisogna ridurre entro il 2050 le emissioni del 40%-70%, puntando su “nuovi modelli di investimento e su un’economia a basse emissioni di carbonio”. Ma l’industria – che soffre ancora della crisi economica – teme costi insostenibili e incompatibili con la ripresa. Ritardare, però, dicono gli scienziati, li farebbe alzare ulteriormente. È necessario inoltre tagliare le emissioni provenienti dagli allevamenti di bestiame e dall’agricoltura.
Gli impatti dei cambiamenti climatici in Europa sono diversi a seconda delle zone: dall’aumento delle ondate di calore e del rischio incendi, soprattutto nel Sud e in Russia, allo scioglimento dei ghiacciai delle zone alpine. Fortunatamente, la capacità di adattamento del nostro continente è una delle maggiori. Anche su scala planetaria si presentano diversi livelli di adattamento, elemento che porterà inevitabilmente ad aumentare le disuguaglianze sociali e le differenze tra Nord e Sud del mondo.
Testo redatto su fonte CNR del 16 aprile 2014
Per approfondimenti sull’IPCC: www.ipcc.ch
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CAMBIAMENTO CLIMATICO
Secondo l’Università di Milano-Bicocca, dal V Rapporto dell’IPCC emerge che la regione mediterranea è quella che risentirà più di tutte dei cambiamenti climatici
01.04.2014
Testo dell’articolo
Secondo gli studiosi del Working Group II all’AR5 dell’IPCC, sono in aumento i rischi di inondazioni, di erosione costiera e di danni alle infrastrutture: “Il rischio già è presente con l’attuale livello di climate change (+0.61 °C rispetto al periodo preindustriale) e sta aumentando progressivamente. Le misure di adattamento in Europa possono ridurre il rischio entro limiti accettabili, ma queste azioni devono essere ancora implementate in molti Paesi europei, tra cui l’Italia”. Tra le criticità evidenziate, c’è anche una sempre maggior scarsità idrica, soprattutto nel Mediterraneo, dovuta all’ aumento della domanda di acqua per l’irrigazione, l’uso domestico e industriale unito alla riduzione delle precipitazioni, alla scarsa capacità di reintegro delle risorse idrico e all’aumento dell’evaporazione. “Inoltre, nel Sud Europa l’irrigazione sarà il fattore limitante della produzione agricola, con impatti negativi anche nelle zone di produzione del vino”.
Già lo studio del 2012 Mediterranean agriculture under climate change: adaptive capacity, adaptation, and ethics‘, Regional Environmental Change di Marco Grasso e Giuseppe Feola (University of Reading) anticipava alcune delle problematiche dei cambiamenti climatici sui sistemi agricoli del paesi dell’area mediterranea. La ricerca, infatti, evidenzia come gli impatti dei cambiamenti climatici del prossimo decennio saranno rilevanti per l’area mediterranea, determinato una diminuzione della produzione agricola nell’area che include anche l’Italia meridionale.
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 31 marzo 2014
Per approfondimenti: Climate Change 2014: Impacts, Adaptation, and Vulnerability – www.ipcc.ch
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CAMBIAMENTO CLIMATICO
Studio ENEA sulla variabilità climatica, sulle sue mutazioni e sugli eventi estremi a scala locale mediante Modelli Climatici Regionali: il caso del Nord Adriatico
15.02.2014
Testo dell’articolo
L’ENEA, che dal 2011 coordina il progetto europeo sui servizi climatici nell’area del Mediterraneo, denominato CLIM-RUN (Climate Local Information in the Mediterranean region Responding to User Needs), sta realizzando una serie di studi e prodotti informativi riguardanti gli eventi intensi nelle proiezioni climatiche future. In particolare, per rispondere alle esigenze delle autorità locali, l’ENEA, in collaborazione con l’International Centre for Theoretical Physich (ICTP) di Trieste e con il CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), ha elaborato uno studio riguardante le variazioni climatiche nell’area del Nord Adriatico. Partendo dalle proiezioni climatiche regionali prodotte nel precedente progetto europeo ENSEMBLES, ENEA ha messo a confronto gli eventi intensi di precipitazioni giornaliere nel Nord Adriatico del periodo 2041-2050 con quelli del periodo 1971-1980.
Il quadro che emerge dalle simulazioni mostra un aumento di eventi intensi in primavera e in inverno, mentre gran parte delle proiezioni evidenzia una diminuzione di tali eventi in estate e in autunno. Questa varietà di informazione climatica è facilmente riproducibile in altre zone della Penisola caratterizzate da un’elevata vulnerabilità rispetto agli eventi estremi. I Modelli Climatici Regionali (MCR) qui analizzati permettono di produrre scenari climatici ad alta risoluzione per una determinata area e migliorano la qualità delle proiezioni climatiche rispetto ai Modelli Climatici Globali soprattutto in zone a orografia complessa e in prossimità delle aree costiere.
Testo redatto su fonte ENEA del 12 febbraio 2014
Per approfondimenti su CLIM-RUN: www.climrun.eu
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EFFETTI SUL CLIMA
Gli effetti degli impianti eolici sul clima: uno studio condotto da ricercatori di vari enti francesi, a cui ha collaborato l’ENEA, minimizza l’impatto a livello europeo
13.02.2014
Testo dell’articolo
In realtà, tali effetti sono molto limitati, ha rilevato uno studio pubblicato su Nature Communications in “Regional climate model simulations indicate limited climatic impacts by operational and planned European wind farms“e condotto da ricercatori del CEA (Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives), del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) e dell’Università di Versailles, in collaborazione con ENEA e INERIS (Institut National de l’Environnement industriel et de RISques). A questa conclusione si è arrivati utilizzando modelli climatici regionali in Europa che includono gli effetti di impianti eolici attualmente in servizio e quelli previsti nei prossimi 20 anni.
Si è trattato del primo studio del genere a livello europeo che ha quantificato in uno scenario realistico gli effetti sul clima derivanti dall’energia eolica, la cui produzione nel nostro continente dovrebbe raddoppiare da qui al 2020. Questo studio confronta delle simulazioni climatiche fatte con e senza la presenza al suolo dei parchi eolici e mostra differenze medie di temperatura molto piccole, attorno a 0,3°C, con differenze significative solo in inverno. Lo studio mostra come queste differenze siano dovute in parte al sovrapporsi di effetti locali nella regione più interessata dalla presenza di parchi eolici e una lieve rotazione del vento proveniente da ovest. Questo studio è stato realizzato con il sostegno del progetto europeo IMPACT2C, al quale l’ENEA partecipa come unico partner italiano, e del progetto DSM-Energie del CEA.
Testo redatto su fonte ENEA dell’11 febbraio 2014
Per approfondimenti: Regional climate model simulations indicate limited climatic impacts by operational and planned European wind farms – Nature Communications | 11.02.2014
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CAMBIAMENTO CLIMATICO
CNR: le città del nord Europa sono più all’avanguardia nel fronteggiare le sfide del cambiamento climatico con piani di adattamento e obiettivi di riduzione delle emissioni
28.01.2014
Testo dell’articolo
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Le città del nord Europa sono più all’avanguardia nel fronteggiare le sfide del cambiamento climatico con piani di adattamento e consistenti obiettivi di riduzione delle emissioni, in particolare quelle britanniche, francesi e tedesche. La più ambiziosa è la città di Groningen (Olanda) che punta a ‘zero emissioni’, anche attraverso l’incremento di fonti rinnovabili e la piantumazione di nuovi alberi, già nel 2025 in anticipo sul previsto traguardo del 2050. I dati emergono da una ricerca, pubblicata su “Climate Change Letters” e finanziata dal programma multidisciplinare europeo COST TU0902, che ha visto il coinvolgimento di Monica Salvia e Filomena Pietrapertosa dell’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IMAA-CNR) in collaborazione con ricercatori di nove stati, coordinati da Diana Reckien della Columbia University.
“Abbiamo analizzato gli strumenti elaborati e attuati da 200 città medio-grandi in 11 stati europei, Austria, Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna”, spiegano le ricercatrici CNR. “Le aree urbane hanno un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi dell’Unione Europea in tema di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, in particolare dai target fissati dalla “Energy Roadmap 2050” che tra l’altro prevedono la riduzione dell’80% delle emissioni europee di gas serra entro il 2050 per evitare l’aumento della temperatura media globale di 2° C rispetto ai livelli pre-industriali”.
La gran parte delle città sono lontane dal fronteggiare le nuove sfide poste dal cambiamento climatico. “Il 35% non ha provveduto a redigere alcun piano di adattamento né di mitigazione e appena un quarto si è dotato di entrambi, il 72% ha solo il piano di mitigazione e nessuna ha prodotto solo quello di adattamento. Il percorso comune comincia insomma con l’adozione di misure di riduzione delle emissioni, come il miglioramento dell’efficienza energetica e la produzione di energia da fonti rinnovabili, per poi passare all’adattamento del territorio ai rischi futuri, ad esempio tramite la costruzione di argini per proteggere le città da un aumento del livello del mare”, spiega Monica Salvia. La situazione risulta però estremamente variabile. “Il primato spetta al Regno Unito: il 93% delle 30 città analizzate ha un piano di mitigazione, contro l’80% di quelle olandesi e tedesche, il 56% di quelle italiane e il 43% delle città francesi. Anche per quanto riguarda l’adattamento, si distingue la Gran Bretagna con 24 città, contro 13 su 40 città tedesche e 5 su 26 spagnole. In Italia, su 32 analizzate, solo Padova vanta un piano di adattamento”.
Si tratta del primo studio che non si basi su criteri di autovalutazione ma sui documenti programmatici e di pianificazione realmente adottati. “Se le azioni previste a livello urbano fossero adottate dall’intero sistema nazionale si otterrebbe entro il 2050 una riduzione del 37% delle emissioni di gas serra degli 11 paesi e del 27% dell’UE nel suo complesso. Tuttavia, saremmo sempre lontani dal raggiungimento dell’80% previsto”, osserva Filomena Pietrapertosa. La maggior parte dei piani di mitigazione si basa su opzioni tecnologiche e azioni di settore per incrementare l’efficienza energetica, come il miglioramento della coibentazione degli edifici, piuttosto che su cambiamenti a scala urbana. L’adattamento invece viene spesso affrontato in termini più sistemici ma meno concreti, in termini di studi scientifici o cooperazione, e soprattutto a scala regionale, in Italia e Francia, o nazionale, in Olanda.
Testo redatto su fonte CNR del 28 gennaio 2014
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STRATEGIE LOW-CARBON
Mhybus: sperimentato su strada il primo autobus in Italia alimentato con una miscela di idrogeno e metano che riduce del 15% la CO2 emessa
16.01.2014
Testo dell’articolo
Cofinanziato nell’ambito del programma europeo LIFE+, Mhybus nasce da una partnership tra l’ENEA, la Regione Emilia Romagna, la Start Romagna (società di trasporto pubblico dell’area romagnola delle province Forli-Cesena, Ravenna e Rimini), la SOL (società di produzione e commercializzazione di gas tecnici ed industriali) e l’ASTER (società consortile tra Regione Emilia-Romagna, Università, CNR, ENEA, Associazioni di categoria e Unioncamere). Il Mhybus utilizzato da Start Romagna lungo la linea 8 di Ravenna è un veicolo Breda MenariniBus con motore Mercedes, modificato per l’alimentazione a idrometano.
L’ENEA ha svolto le sperimentazioni per la messa a punto del propulsore alimentato con una miscela di metano ed idrogeno al 15% in volume, fornendo supporto per ottenere le autorizzazioni per l’esercizio sperimentale su strada. L’ENEA ha poi eseguito le rilevazioni delle emissioni e delle prestazioni energetiche del mezzo durante tutta la fase sperimentale di trasporto pubblico a Ravenna. L’ENEA ha anche svolto indagini per la valutazione della compatibilità dei componenti del circuito di alimentazione del veicolo con l’idrogeno, mettendo a disposizione la propria mini-stazione di rifornimento per idrogeno alla SOL, azienda produttrice della miscela di idrometano.
La sostenibilità ambientale del trasporto pubblico richiede interventi sempre più incisivi per le emissioni di inquinanti frutto della combustione di combustibili fossili. In particolare per la riduzione della CO2 la via da intraprendere è quella della progressiva decarbonizzazione del combustibile sino alla piena attuazione della mobilità elettrica. L’Italia ha già intrapreso la riduzione delle emissioni di CO2 nei trasporti pubblici dotandosi di una vasta flotta di bus a gas naturale in sostituzione dei tradizionali bus con motori diesel. Un ulteriore passo in avanti è adesso offerto dalla possibilità di utilizzare idrogeno insieme al gas naturale riducendo il contenuto di carbonio del combustibile. (Image credit: ENEA)
Testo redatto su fonte ENEA del 16 gennaio 2014
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CAMBIAMENTO CLIMATICO
Il Comitato Ev-K2-CNR porta l’appello degli scienziati al COP19 di Varsavia: “Per ridurre i rischi e capire il clima che cambia studiamo le montagne”
14.11.2013
Testo dell’articolo
Ev-K2-CNR è presente Al Cop19 di Varsavia il 16 e il 17 novembre con due eventi organizzati insieme all’ICCI (International Cryosphere Climate Initiative). Alla Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sul Cambiamento climatico, la delegazione del Comitato Ev-K2-CNR condividerà i Key messages emersi durante High Summit Lecco 2013, la conferenza scientifica dedicata a clima e montagna. Tra i firmatari del documento Deon Terblanche per la WMO (Organizzazione meteorologica mondiale), Sandro Fuzzi per l’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), Enrico Brugnoli per il CNR, Agostino Da Polenza per il Comitato Ev-K2-CNR. Perché è necessario mettere le montagne al centro delle ricerche e delle politiche sui cambiamenti climatici? Perché le aree montane sono tra le regioni dove sono più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici; per promuovere (ora!) azioni che riducano i rischi provocati da questi cambiamenti, rischi che riguardano una significativa fetta della popolazione mondiale.
Per questi motivi – si sostiene nei Key Messages – è necessario potenziare il monitoraggio atmosferico, la conoscenza delle diverse componenti della criosfera, le ricerche sulle risorse idriche e la conoscenza degli effetti a lungo termine dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi montani. Il documento si sviluppa riprendendo alcuni passaggi chiave del quinto rapporto dell’IPCC (International Panel on Climate Change) per poi evidenziare per punti le azioni necessarie alla riduzione del rischio indotto dai cambiamenti climatici nelle regioni montane.
Il 16 novembre presso il National Stadium a partire dalle 18.30 si discuterà della rapidità dei cambiamenti climatici nelle regioni polari e montane, di rischi e soluzioni. L’evento è organizzato a da Ev-K2-CNR, ICCI (International Cryosphere Climate Initiative) e Clean Air Task Force. Per il Comitato Ev-K2-CNR, Riccardo De Bernardi, Bhupesh Adhikary e Antonello Provenzale presenteranno alcuni dei risultati emersi dalla conferenza High Summit e parleranno di cambiamenti climatici e Black Carbon nelle regioni himalayane.
Il 17 Novembre sarà il “Giorno della Criosfera”, dedicato ai cambiamenti climatici nelle regioni polari e montane. L’evento, organizzato da ICCI e Ev-K2-CNR in collaborazione con ICIMOD e altri enti, si terrà presso il Radisson Blu Centrum di Varsavia. Tra gli interventi attesi quello di George Kaser, responsabile del capitolo Criosfera del rapporto IPCC e di Claudio Smiraglia e Mauro Guglielmin, delegati del Comitato Ev-K2-CNR. Sandro Fuzzi, membro del comitato direttivo di UNEP-ABC e della delegazione di Ev-K2-CNR presenterà i Key Messages di High Summit.
Testo redatto su fonte Comitato Ev-K2-CNR del 14 novembre 2013
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STRATEGIE LOW-CARBON
Economia a basse emissioni di carbonio: l’ENEA presenta il Rapporto “Scenari e Strategie” per ridurre le emissioni climalteranti dell’80% entro il 2050
25.10.2013
Testo dell’articolo
La Commissione europea ha delineato un percorso per raggiungere nel 2050 un livello di riduzione delle emissioni di CO2 dell’80% rispetto al 1990, garantendo nel contempo la sicurezza energetica e la competitività dell’economia dell’UE nel suo insieme. La recente Strategia Energetica Nazionale (SEN) accoglie le indicazioni di sostenibilità delle politiche di medio periodo dell’Unione europea, creando le condizioni per il raggiungimento degli obiettivi fissati per l’Italia al 2020. Tuttavia le politiche messe in atto ad oggi non sono sufficienti a garantire il passaggio ad un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050.
Gli scenari presentati dall’ENEA, quantificati mediante l’impiego di un modello tecnico-economico del sistema energetico italiano, indicano che per ridurre le emissioni climalteranti dell’80% entro il 2050 occorre:
• ridurre del 36-40% i consumi finali di energia, rispetto ai livelli del 2010;
• ridurre di circa il 98% le emissioni nella produzione di energia elettrica;
• aumentare al 40% la quota di elettricità nei consumi finali di energia;
• incrementare la quota di fonti rinnovabili al 65% nel fabbisogno energetico primario;
• utilizzare nel settore elettrico e industriale tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS).
L’Unità Centrale Studi e Strategie dell’ENEA produce da diversi anni studi basati sulla elaborazione di scenari energetici nazionali, che consentono di verificare la coerenza strategica delle scelte di politica energetica, di anticiparne i rischi e di studiare quindi risposte tempestive. Questo tipo di analisi è di grande utilità per il decisore politico, in quanto permette di proiettare sul lungo termine gli effetti delle politiche adottate o da adottare.
Testo redatto su fonte ENEA del 24 ottobre 2013
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CAMBIAMENTO CLIMATICO
Il V rapporto IPCC conferma l’attività antropica come una causa fondamentale del global warming, dello scioglimento dei ghiacci e dell’aumento della CO2
30.09.2013
Testo dell’articolo
“Il nuovo rapporto conferma le tendenze sui cambiamenti climatici in atto”, spiega Maria Cristina Facchini, uno dei lead author del volume. “In particolare l’aumento della temperatura dell’atmosfera e degli oceani, l’incremento del livello del mare e la diminuzione dell’estensione e del volume del ghiaccio terrestre riscontrati sin dal 1950. Molti di questi fenomeni non hanno precedenti su una scala temporale che va dalle decine di anni ai millenni. Per quanto riguarda le temperature atmosferiche, ciascuno degli ultimi tre decenni è stato più caldo dei precedenti e il primo decennio del 21° secolo è stato il più caldo dal 1850. Dall’inizio del 20° secolo la temperatura media del pianeta è cresciuta di 0.89 °C, mentre il livello del mare è cresciuto in media di 19 cm. Inoltre, i ghiacciai dell’intero pianeta stanno perdendo massa e la copertura di ghiaccio dell’Artide sta diminuendo”.
Elemento chiave del rapporto è l’anidride carbonica (CO2), principale responsabile del cambiamento in atto tra i gas serra. “La concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera è cresciuta di più del 20% rispetto al 1958 e di circa il 40% dal 1750”, precisa Sandro Fuzzi, review editor del volume. “È probabile al 95-100% che le attività antropiche, uso dei combustibili fossili e deforestazione, abbiano causato più della metà dell’aumento di temperatura osservato, che a sua volta ha causato il riscaldamento degli oceani, lo scioglimento dei ghiacci, l’acidificazione degli oceani, l’innalzamento dei mari e l’intensificarsi di alcuni fenomeni estremi nella seconda metà del 20° secolo”.
Le proiezioni per il futuro, basate su modelli matematici, indicano secondo l’IPCC un’ulteriore crescita della temperatura. “Le emissioni di gas serra stanno causando cambiamenti climatici in tutte le aree del pianeta, anche se non in misura uniforme, molti dei quali persisteranno per secoli. Per arginare questo circolo vizioso occorrono urgenti e importanti riduzioni delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra”, conclude Fuzzi.
Testo redatto su fonte CNR del 27 settembre 2013
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