Protezione ambientale
SICUREZZA DEL TERRITORIO
La prima simulazione realistica 3D di una valanga è in grado di stimare con accuratezza le sue potenziali caratteristiche, aiutando a migliorare la gestione del rischio valanghe
09.08.2018
Testo dell’articolo
La simulazione, sviluppata in collaborazione con l’University of California Los Angeles (UCLA), svela le dinamiche interne delle valanghe a lastroni, un tipo di valanghe difficili da prevedere: spesso vengono innescate da sciatori o escursionisti, e questo le rende le più pericolosa e le più mortali.
Adottando un approccio completamente nuovo, i ricercatori svizzeri e statunitensi hanno realizzato la prima simulazione realistica, completa e scientificamente rigorosa di una valanga a lastroni, un tipo di valanga che si verifica quando una fessura lineare molto evidente appare nella parte superiore del manto nevoso. Questo di solito accade quando, su una vasta area, c’è uno strato di manto nevoso poco coeso sotto uno strato denso superiore di neve, chiamato lastra.
Quello che ha reso l‘approccio davvero originale è l’aver considerato che la neve, in questo tipo di valanga, si comporta sia come un solido che come un fluido. Di solito una valanga a lastroni viene innescata quando agisce, oltra alla neve, un carico ulteriore, come ad esempio la presenza di uno sciatore o l’azione di un’esplosione. Questo può generare una fessura nello strato inferiore del manto nevoso e diffondersi rapidamente secondo le leggi descritte dalla Meccanica dei Solidi. Quando però la fessura si diffonde, la struttura porosa dello strato debole lo fa collassare sotto il peso della lastra di superficie. A causa della sua massa e della pendenza, la lastra è quindi libera di scorrere sullo strato più debole sottostante. Le collisioni, gli attriti e le fratture a cui è sottoposta la neve solida (lastra) quando scivola verso il basso e si rompe, determinano un comportamento collettivo tipico di un fluido.
I ricercatori sono stati in grado, per la prima volta, di simulare il collasso su larga scala dello strato inferiore poroso utilizzando l’approccio del materiale continuo. A tal fine hanno adottato una tecnica numerica impiegata per analizzare il comportamento dei materiali in movimento, il Material Point Method (MPM), un approccio che non era mai stato prima applicato allo studio delle valanghe. Il modello utilizzato considera solo i parametri necessari a determinare il comportamento della neve nelle varie fasi del processo, quali la dinamica della frattura, l’attrito e il livello di compattazione in base al tipo di neve.
Oltre ad approfondire la conoscenza sul comportamento della neve, questo studio consentirà ai ricercatori di migliorare le previsioni sulle valanghe, stimando con più accuratezza la loro potenziale estensione, la distanza che possono raggiungere e la pressione in grado di esercitare sugli ostacoli che incontrano sul loro percorso.
Testo redatto su fonte EPFL del 3 agosto 2018
Per approfondimenti: Dynamic anticrack propagation in snow, DOI: 10.1038/s41467-018-05181-w – Nature Communications | 03.08.2018
Per approfondimenti sull’MPM: The Material Point Method for the Physics-Based Simulation of Solids and Fluids
Image e video credit: Gaume et al. (2018)/Nature Communications, DOI: 10.1038/s41467-018-05181-w
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
MODELLI AMBIENTALI PREVISIONALI
Previsioni stagionali elaborate dai centri meteorologici e modelli empirici dell’impatto degli incendi, possono fornire stime quantitative dell’area bruciata attesa a scala globale
01.08.2018
Testo dell’articolo
Nell’articolo “Skilful forecasting of global fire activity using seasonal climate predictions” pubblicato sulla rivista Nature Communications è stata presentata una ricerca dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IGG) di Pisa e dell’Università di Barcellona che affronta questo problema e mostra come utilizzare le previsioni stagionali fornite dai centri meteorologici, combinante con modelli empirici dell’impatto degli incendi, per ottenere stime quantitative dell’area bruciata attesa nei mesi successivi a scala globale. Gli studi condotti negli scorsi anni hanno permesso di sviluppare una serie di modelli empirici che legano l’area bruciata dagli incendi alle caratteristiche della precipitazione e della temperatura nei mesi e negli anni precedenti l’incendio.
I modelli sono stati validati sui dati disponibili in Europa mediterranea e in molte altre aree del Pianeta, utili per la stima dell’area bruciata attesa a livello globale. L’approccio proposto combina ricerca di base, utilizzo dei grandi database internazionali e risultati direttamente applicabili alla sicurezza delle popolazioni e alla pianificazione delle misure di salvaguardia, utilizzando le previsioni stagionali per migliorare la stima dell’importante impatto esercitato su questi eventi dalla variabilità climatica.
I modelli empirici, una volta validati, sono stati forzati dalle previsioni stagionali. Confrontando le stime fornite dei modelli di incendio così forzati, si è visto che per ampie regioni del pianeta si riesce a migliorare significativamente la predicibilità dell’area bruciata a scala stagionale.
Testo redatto su fonte CNR del 13 luglio 2018
Per approfondimenti: Skilful forecasting of global fire activity using seasonal climate predictions, DOI: 10.1038/s41467-018-05250-0 – Nature Communications | 13.07.2018
Images credit: NOAA/NWS; Nature Communications (2018), DOI: 10.1038/s41467-018-05250-0
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Decarbonizzazione dell’economia: valorizzare le soluzioni tecniche a minore impatto ambientale ed energeticamente più efficienti, utilizzando fonti energetiche rinnovabili
07.10.2017
Testo dell’articolo
• i settori interessati dal sistema di scambio di quote di emissione ETS (termoelettrico e industriale ad alto consumo energetico) dovranno ridurre le emissioni del 43% rispetto al 2005;
• i settori non interessati dall’ETS (trasporti, edifici, agricoltura, rifiuti) dovranno ridurre le emissioni del 30% rispetto al 2005 e ciò dovrà essere tradotto in singoli obiettivi nazionali vincolanti per gli Stati membri.
L’Unione Europea fissa, inoltre, l’obiettivo di portare la quota di consumo energetico finale soddisfatto da fonti rinnovabili al 27% entro il 2030. Inoltre la proposta di nuova Direttiva sull’Efficienza Energetica prevede, per il periodo 2021-2030, un risparmio minimo dell’1,5% all’anno calcolato sui volumi dei consumi finali del periodo 2016-2018. La lotta ai cambiamenti climatici e la conseguente decarbonizzazione del nostro sistema economico rendono, quindi, necessario attuare politiche strutturali sempre più ambiziose.
La sfida nel prossimo decennio è la definizione di strategie idonee a mantenere, allo stesso tempo, la competitività del nostro sistema produttivo, costruendo nuove professionalità e nuove competenze, a proteggere la salute dei cittadini e a rispondere in modo adeguato alle grandi priorità ambientali. Per fare ciò si dovranno prevedere investimenti molto elevati ed attuare dei radicali mutamenti all’interno di interi settori produttivi: nella riconversione del sistema energetico con soluzioni che promuovano l’efficienza, nella rigenerazione urbana, nella produzione di energia che sfrutti le fonti rinnovabili di energia, nonché in una totale riorganizzazione della mobilità.
A livello nazionale è necessario avviare una profonda riconsiderazione del modo di produrre e di fare impresa. La priorità è orientare e favorire in maniera sempre più decisa una crescita economica sostenibile, cioè attenta a tener conto dei costi ambientali, valorizzando le innovazioni e le soluzioni tecniche a minore impatto ambientale ed energeticamente più efficienti e rafforzare la transizione verso fonti energetiche rinnovabili. In tal senso sarà obbligatorio favorire e orientare gli investimenti verso l’adozione di tecnologie innovative e a basse emissioni anche nell’ottica di promuovere filiere produttive funzionali allo sviluppo economico del paese.
In questa prospettiva va inquadrato il lavoro coordinato dall’ENEA e dal CNR di elaborazione del “Il Catalogo delle tecnologie energetiche” che ha visto la partecipazione attiva di Amministrazioni Pubbliche, Università, Centri di Ricerca, Associazioni di categoria e imprese e che ha il pregio di aver riunito competenze e professionalità diverse.
Il Catalogo raccoglie le più avanzate soluzioni per la decarbonizzazione sotto forma di un database open source suddiviso per macro-aree (fonti tradizionali, rinnovabili, efficienza energetica negli usi finali e sistemi cogenerativi e di accumulo). Fornisce informazioni puntuali sull’impatto economico e ambientale delle tecnologie (comprese quelle emergenti ma ad alta potenzialità a lungo termine), la loro applicazione per industria, trasporti e settore civile e le best practice sia a livello nazionale che internazionale.
Testo redatto su fonte ENEA del 3 ottobre 2017
Per approfondimenti: Il Catalogo delle tecnologie energetiche
Image credit: General Electric
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
L’ENEA mette a punto MINNI, un sistema modellistico di simulazione dello smog, e collabora al Progetto Urbesoil per studiare l’influenza dell’attività antropica in ambito urbano
13.02.2016
Testo dell’articolo
Per combattere l’inquinamento di aria e suolo l’ENEA ha messo a punto MINNI e collabora al Progetto Urbesoil.
MINNI
Per affrontare l’emergenza smog, l’ENEA ha sviluppato MINNI (Modello Integrato Nazionale a supporto della Negoziazione internazionale sui temi dell’Inquinamento atmosferico), un sistema modellistico a scala nazionale in grado di simulare, su lungo periodo, la dispersione e la trasformazione chimica dei principali inquinanti atmosferici. Si tratta di uno strumento operativo a disposizione delle amministrazioni pubbliche per valutare efficacia e costi sia di misure a contrasto delle emergenze smog che di interventi anti-inquinamento strutturali a lungo termine.
MINNI è costituito essenzialmente da due principali sistemi modellistici strettamente interfacciati.
– Sistema Modellistico Atmosferico (SMA): appartiene alla famiglia dei Modelli Chimici di Trasporto (MCT), sistemi modellistici che consentono la descrizione dei processi chimico-fisici in atmosfera e forniscono le concentrazioni degli inquinanti in funzione dello spazio e del tempo a partire da date condizioni meteorologiche ed emissive. La capacità di simulare i processi chimici e fisici in atmosfera si traduce nella possibilità di descrivere i legami tra emissioni e concentrazioni, aspetto di cruciale importanza per gestire azioni di risanamento. Altrettanto importante è anche la conoscenza della variabilità interannuale causata dalla variazione meteorologica.
– GAINS-Italy: modello di valutazione integrata di impatto e di costi. A partire da informazioni sulle tecnologie di abbattimento delle emissioni dai diversi settori produttivi e da informazioni su scenari energetici ed economici, consente la produzione di scenari emissivi alternativi e/o futuri e di valutarne i costi e l’efficacia in termini di riduzione delle concentrazioni.
Il legame tra SMA e GAINS-Italy è pertanto circolare e chiuso e, oltre a consentire analisi di scenario, può anche fornire informazioni sull’allocazione ottimale delle misure di riduzione da adottare per il raggiungimento di un prefissato target di deposizioni o concentrazioni (ad esempio il rispetto dei limiti di legge).
PROGETTO URBESOIL
Con il Progetto Urbesoil, uno studio sull’inquinamento urbano, condotto dall’ENEA in collaborazione con l’Università di Novi Sad (Serbia), ha rivelato che la concentrazione di microinquinanti risulta in aumento anche al suolo. Urbesoil nasce con l’obiettivo di studiare l’influenza dell’attività antropica in ambito urbano tramite l’utilizzo di metodologie geochimiche in grado di evidenziare i fattori che incidono sulla mobilità e sulla distribuzione nell’ambiente di alcuni contaminanti. In particolare, il progetto si concentra sull’analisi del comportamento di una serie di elementi in traccia potenzialmente tossici nelle realtà urbane di Roma e Novi Sad, che si distinguono per caratteristiche del suolo, dimensioni, tipo e intensità del traffico veicolare, circolazione atmosferica e clima.
Il Progetto ha evidenziato un aumento delle particelle rilasciate dalle emissioni dei veicoli nei suoli di Roma, a 20 anni dall’introduzione delle marmitte catalitiche. Se da un lato questi dispositivi hanno manifestato la loro efficacia eliminando il piombo dalle emissioni, dall’altro si è registrato un incremento costante di “nuovi” microinquinanti, in particolare di “terre rare”, di cui è solitamente composto il rivestimento delle marmitte, e di metalli pesanti come il platino e il palladio, utilizzati nei catalizzatori per accelerare le reazioni chimiche.
Oltre alla distribuzione degli elementi chimici le indagini hanno riguardato la mobilità degli inquinanti dal suolo o dalla pavimentazione stradale. Per comprendere le dinamiche ambientali e individuare misure più adatte per il controllo e la riduzione dell’inquinamento, questi studi sulla mobilità rappresentano uno strumento fondamentale.
Testo redatto su fonte ENEA dell’11 febbraio 2016
Per approfondimenti su MINNI: www.minni.org
Rapporto EEA: Economic cost of the health impact of air pollution in Europe: Clean air, health and wealth
Image credit: ENEA
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Il CNR sviluppa un innovativo sistema semi-automatico per raccogliere, organizzare e memorizzare le informazioni utili per l’identificazione delle polveri di origine sahariana
19.08.2015
Testo dell’articolo
Un’importante conseguenza è che il contributo “naturale” apportato da queste frazioni, sommandosi al PM10 per inquinamento, concorre spesso al superamento dei limiti di legge sanzionati dall’Europa per il PM10 stesso. Per affrontare questo problema è nato DIAPASON (Desert-dust Impact on Air quality through model-Predictions and Advanced Sensors ObservatioNs), un progetto con l’obiettivo di identificare le polveri di origine “naturale” per defalcarle dal computo annuo del PM10, e ottenere un notevole risparmio di denaro pubblico sulle sanzioni comminate per il suo superamento. Coordinato dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISAC-CNR), il progetto ha una durata di 4 anni (dal 30.09.2011 al 30.08.2015), ed è stato finanziato dal programma europeo LIFE+ 2010.
Nell’ambito di DIAPASON, un team di ricerca dell’ISAC-CNR ha sviluppato un innovativo sistema semi-automatico per raccogliere, organizzare e memorizzare le informazioni necessarie per l’identificazione delle polveri di origine sahariana. In particolare, il software analizza le informazioni raccolte, crea un database degli eventi sahariani e quantifica i loro effetti sui livelli di PM10, ed il sistema è distribuito gratuitamente alle Agenzie per lo studio sulla qualità dell’aria. Sono inoltre stati sviluppati sistemi laser-radar automatizzati in grado di sondare l’atmosfera fino a 10 km di altezza e riconoscere la presenza di nubi di polveri minerali.
Grazie al progetto, uno studio pilota effettuato nel Lazio ha mostrato che nel periodo 2004-2014 il carico medio di PM10 è diminuito da 48 a 26 µg/m3, in funzione sia di variazioni meteo, sia di un minore utilizzo delle auto per effetto della crisi economica. Nel medesimo decennio il carico annuo di polveri di origine sahariana è sceso da 1,9 a 1,6 µg/m3 nelle aree rurali e da 2,3 a 1,1 µg/m3 nell’area urbana di Roma, comportando una diminuzione del 60-70% dei superamenti della soglia sanzionabile di 50 µg/m3. Tuttavia, per il 2020 le concentrazioni di PM10 sono previste in risalita di circa il 15%. Ad oggi, su 37 stazioni di misurazione dell’inquinamento dell’aria nel Lazio, 12 registrano più dei 35 superamenti annui fissati dall’Europa come limite, mentre 10 stazioni, di cui 5 a Roma, presentano più di 40 superamenti all’anno.
A livello nazionale si evidenzia come la concentrazione di PM10 associata alla circolazione automobilistica sia maggiore nelle vicinanze delle grandi arterie stradali, in particolare quelle del Nord, sempre a causa della risospensione delle polveri da parte del traffico. Lavare le strade prima delle ore di punta, durante e dopo gli eventi sahariani, e chiudere il traffico prima del superamento dei parametri di legge, sulla base di previsioni modellistiche, rimangono comunque le più semplici ed efficaci forme di prevenzione. (Image credit: copyright 2015 EUMETSAT)
Testo redatto su fonte CNR del 5 agosto 2015
Per approfondimenti sul progetto DIAPASON: www.diapason-life.eu
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
CNR: grazie all’utilizzo di carburante green, nella Laguna di Venezia è in diminuzione l’impatto del traffico passeggeri sulle concentrazioni di particolato atmosferico
17.01.2015
Testo dell’articolo
Contini precisa che “a determinare questa svolta positiva l’impiego di carburante ‘green’ a basso contenuto di zolfo, in ottemperanza alla nuova normativa europea e secondo l’accordo ‘Venice Blue Flag’ siglato tra enti locali (Comune, autorità portuale e Capitaneria di porto). Per la prima volta i risultati mostrano che le strategie di mitigazione a livello internazionale e locale, basate sulla riduzione del contenuto di zolfo nei carburanti ad uso navale, sono efficaci nel ridurre l’impatto primario del particolato e non solo nell’abbattere l’impatto secondario delle concentrazioni di ossidi di zolfo e di solfato”.
Contini evidenzia inoltre che l’impatto del traffico navale è significativamente maggiore sulle particelle di piccole dimensioni (particelle ultrafini e nanoparticelle) rispetto alle particelle di maggiori dimensioni Pm2.5 o Pm10. Una conclusione, in linea con le osservazioni svolte in altri porti del bacino mediterraneo, che mostra come le concentrazioni di tali particelle potrebbero essere un parametro più idoneo al monitoraggio e all’analisi dell’impatto del traffico navale nelle aree costiere.
Lo studio, pubblicato su Atmospheric Environment in “Inter-annual trend of the primary contribution of ship emissions to PM2.5 concentrations in Venice (Italy): Efficiency of emissions mitigation strategies“, è stato svolto nell’ambito del POSEIDON Project (Pollution monitoring of ship emissions: an integrated approach for harbours of the Adriatic basin – inizio 01.06.2014, fine 31.05.2015) finanziato dal Programma europeo MED (2007-2013) per la cooperazione territoriale e coordinato da Contini, che vede la partecipazione delle Università di Venezia, di Patrasso (Grecia) e della School of Medicine di Rijeka (Croazia). La ricerca sarà estesa, nel corso del progetto, anche a queste altre due città portuali e a Brindisi. (Image credit: MSC Cruises S.A.)
Testo redatto su fonte CNR del 15 gennaio 2015
Per approfondimenti: Inter-annual trend of the primary contribution of ship emissions to PM2.5 concentrations in Venice (Italy): Efficiency of emissions mitigation strategies – Atmospheric Environment | February 2015
Programme MED: www.programmemed.eu
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO MARINO
Marina Militare e Università di Siena di nuovo insieme per il “Plastic Buster”, il progetto di monitoraggio e mitigazione dell’inquinamento da materiale plastico nel Mediterraneo
18.12.2014
Testo dell’articolo
Il Mare Nostrum, essendo chiuso e densamente popolato, è infatti uno dei più contaminati dalla plastica al mondo. Ricerca, divulgazione al pubblico durante le soste nei porti del Mediterraneo, creazione di relazioni istituzionali sono altri importanti obiettivi del progetto “Plastic busters”, che mira a concordare con tutti i Paesi dell’area mediterranea strategie concrete per mitigare il grave fenomeno dell’inquinamento da plastica.
Il cacciamine Rimini ha condotto indagini ambientali in alcuni punti individuati dall’Università di Siena (Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente) situati nei pressi dell’Isola di Capraia e di fronte alla foce del fiume Tevere. La nave ha impiegato veicoli subacquei del tipo ROV (Remotely Operated Vehicle) grazie ai quali ha filmato lo stato del fondale in condizioni ambientali particolari, come alla foce del Tevere, dove la corrente del fiume mescolandosi alle acque del Mar Tirreno, crea condizioni molto impegnative per la condotta dei veicoli.
La Marina Militare Italiana, grazie alla connotazione dual use, è da sempre attenta alla tutela dell’ambiente marino, ed in particolare alle problematiche connesse alla presenza di addensamenti di plastiche nel mare. Con l’ausilio delle diverse attrezzature presenti sulle proprie navi, impegnate già dallo scorso anno in questo progetto, la Marina Militare fornisce dati ambientali, video e riproduzioni di immagini, contribuendo al progetto “Plastic Busters”. (Image credit: Università di Siena)
Testo redatto su fonte Marina Militare Italiana del 15 dicembre 2014
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO MARINO
MEDESS-4MS: sistema operativo integrato di monitoraggio del mare per la gestione nel Mediterraneo delle emergenze ambientali legate all’inquinamento marino da idrocarburi
26.11.2014
Testo dell’articolo
Il sistema utilizza quattro differenti modelli di “oil spill” per prevedere il trasporto e le trasformazioni chimico-fisiche del petrolio in mare: a partire da informazioni relative alle chiazze – come la posizione e le caratteristiche dell’olio – vengono forniti dati sulla futura evoluzione dell’inquinamento in mare, utili per una migliore gestione delle emergenze. Sistemi di previsione meteo-oceanografica sviluppati da diversi istituti di ricerca nel Mar Mediterraneo integrano il programma in modo da tenere conto di correnti marine, campo di vento e onde. Il sistema, inoltre, può essere interfacciato con altre strutture di monitoraggio come l’AIS (Automatic Identification System) installato sulle navi, e i sistemi satellitari di avvistamento di idrocarburi in mare come il CleanSeaNet dell’European Maritime Safety Agency (EMSA).
“Il progetto contribuisce alla prevenzione dei rischi di inquinamento, alla sicurezza marittima e alla tutela degli ecosistemi e aiuterà le agenzie operative competenti nell’attuazione delle direttive europee relative all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni in caso di eventuali violazioni, sostenendole nei piani di risposta alle emergenze con una mappatura dei possibili rischi”, spiega Alberto Ribotti, ricercatore dell’IAMC-CNR di Oristano. “Il nostro obiettivo è rendere MEDESS-4MS un ponte tra i servizi offerti dal sistema europeo di monitoraggio dell’ambiente marino Mediterraneo del Marine Core Service (MCS) del programma europeo GMES (Global Monitoring for Environment and Security) e gli utenti finali”. (Image credit: MEDESS-4MS)
Testo redatto su fonte CNR/Alberto Ribotti/Elena Campus del 26 novembre 2014
Per approfondimenti: www.medess4ms.eu
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO MARINO
INGV e CNR presentano MEDESS-4MS, il progetto a supporto della gestione dei rischi e delle emergenze nel Mediterraneo connesse all’inquinamento da idrocarburi
07.10.2014
Testo dell’articolo
Come spiega Michela De Dominicis, ricercatrice dell’INGV di Bologna, MEDESS-4MS è un sistema che può essere utilizzato da diversi utenti nelle operazioni di simulazione di eventuali versamenti di idrocarburi in mare, anche in tempo reale, attraverso un portale web. La piattaforma, che utilizza quattro modelli di “oil spill” (MEDSLIK-II fornito dall’INGV, MEDSLIK sviluppato da OC-UCY – Cipro, MOTHY fornito da Meteo France e POSEIDON-OSM sviluppato dall’HCMR – Grecia), è in grado di prevedere il trasporto e le trasformazioni chimico-fisiche del petrolio in mare.
La precisione della previsione della propagazione e della trasformazione dell’idrocarburo dipende dall’accuratezza delle correnti marine, del campo di vento e di onde che, nell’ambito del progetto MEDESS-4MS, vengono forniti da numerosi sistemi di previsione meteo-oceanografica nel Mar Mediterraneo sviluppati da diversi istituti di ricerca. Il sistema multipiattaforma, accessibile online tramite portale, a partire da informazioni relative alla chiazza di petrolio, come la posizione e le caratteristiche dell’olio, fornisce una serie di dati sulla futura evoluzione dell’inquinamento in mare, utili ai fini di una migliore gestione delle emergenze. Il programma ha, inoltre, la potenzialità di poter interfacciarsi con altri sistemi di monitoraggio, come l’AIS (Automatic Identification System) installato sulle navi, e i sistemi satellitari di avvistamento di idrocarburi in mare, come il CleanSeaNet dell’ European Maritime Safety Agency (EMSA).
Il progetto contribuirà alla prevenzione dei rischi di inquinamento, alla sicurezza marittima nonché alla tutela degli ecosistemi, e aiuterà le agenzie operative competenti nell’attuazione delle direttive europee relative all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni in caso di eventuali violazioni, sostenendole nei piani di risposta alle emergenze con una mappatura dei possibili rischi.
Il suo principale obiettivo, spiega Alberto Ribotti, ricercatore dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del CNR (IAMC-CNR) di Oristano, è rendere il sistema MEDESS-4MS un ponte tra i servizi offerti dal sistema europeo di monitoraggio dell’ambiente marino Mediterraneo del Marine Core Service del programma europeo GMES e gli utenti finali, beneficiando appieno delle capacità dei sistemi marini nazionali di previsione già esistenti derivanti dal Marine Core Service stesso. Importante poi è stata la presenza, nel progetto, di parte degli utenti cui il sistema è indirizzato – come la Guardia Costiera italiana, le Autorità Portuali dei porti di Algeciras e di Heraklion, il Dipartimento della Marina Mercantile cipriota – per l’apporto di utili contributi implementati durante la sua realizzazione. (Image credit: Cedre)
Testo redatto su fonte INGV del 6 ottobre 2014
Per approfondimenti: www.medess4ms.eu
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
FRANE E SMOTTAMENTI
Per il monitoraggio delle frane nelle zone a rischio è stata presentata una tecnica basata su una rete di fibre ottiche: potrà coprire aree estese e allertare in tempo reale
01.10.2014
Testo dell’articolo
Il sistema consiste in un tubo di plastica flessibile in cui combinare diversi tipi di sensori a fibra ottica: monitorandone il movimento, causato dalle forze di deformazione che precedono l’evento franoso, è possibile valutare l’imminenza di una frana. Un impulso di luce laser percorre l’intera rete: eventuali scivolamenti del terreno comprimo le fibre e alterano alcune caratteristiche del segnale, analizzando il quale è possibile risalire al luogo in cui il terreno si sta deformando. Si tratta in sostanza di un “sistema nervoso” in grado di controllare costantemente le profondità del terreno e allertare in caso di rischio frane.
L’utilizzo di un’unica rete permetterebbe di semplificare notevolmente i sistemi “tradizionali” di monitoraggio dei terreni, in quanto ad oggi vengono utilizzati piccoli dispositivi nel terreno che hanno necessità periodica di manutenzione e che devono essere ‘letti’ manualmente da operatori sul posto. Per il Prof. Zeni, creare una rete di fibre ottiche ci permetterà invece di superare molte di queste limitazioni, poiché questi nuovi sensori potranno essere utilizzati per coprire aree molto grandi (anche di molti chilometri quadrati), consentendo di individuare eventuali zone critiche in tempo reale.
La nuova tecnologia per il monitoraggio delle frane, cedimenti di roccia o di masse di suolo che possono avere pesanti effetti distruttivi, è economica, sensibile e soprattutto più resistente rispetto a quella dei sensori elettrici, generalmente utilizzati in questo campo, più facilmente danneggiabili. La tecnica verrà presentata alla Conferenza “Frontiers in Optics 2014”, in occasione del 98th Annual Meeting of The Optical Society (OSA), che si svolgerà dal 19 al 23 ottobre 2014 a Tucson (Arizona, USA).
Testo redatto su fonte Conferenza “Frontiers in Optics 2014”, “Predicting Landslides with Light” (Distributed Fiber Optic Sensing Techniques for Soil Slope Monitoring) del 29 settembre 2014 – www.frontiersinoptics.com
Image credit: U.S. Geological Survey
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
FRANE E SMOTTAMENTI
Al XII Congresso IAEG, l’IRPI-CNR presenta i più recenti sviluppi della ricerca e alcuni sistemi avanzati nel campo della mappatura e previsione dei fenomeni franosi
18.09.2014
Testo dell’articolo
Tra le novità, un sistema di monitoraggio per il rilevamento delle colate detritiche, l’ALMOND-F (ALarm and MONitoring system for Debris-Flow), a cui può essere collegato un ‘semaforo’ per avvisare dell’arrivo di una frana: “Si tratta di un dispositivo dotato di lampeggiante che rileva l’evento mediante specifici algoritmi, che analizzano e interpretano il segnale proveniente da una rete di ‘geofoni’, sensori microsismici in grado di attivarsi con le vibrazioni del suolo”, spiega Massimo Arattano dell’IRPI-CNR. “Il prototipo è stato testato con successo in Alto Adige nel bacino del torrente Gadria, una zona particolarmente soggetta a colate detritiche o ‘debris flow’, tipologia di frana temibile per la sua velocità e forza distruttiva: in occasione dell’imponente colata detritica verificatasi lo scorso 15 luglio, l’attivazione e il successivo spegnimento del lampeggiante sono avvenuti correttamente nel punto in cui sono installati i sensori, testimoniando l’efficacia del sistema e la possibilità di collegarlo ad un impianto semaforico”. Il sistema è stato realizzato nell’ambito del progetto europeo SEDALP (SEDiment management in ALPine basins: integrating sediment continuum, risk mitigation and hydropower).
Dai sensori sismici all’utilizzo di droni per la gestione dei disastri naturali. “Da anni gli Unmanned Aerial Vehicles (UAV) o droni sono utilizzati nel monitoraggio del territorio. Al convegno presentiamo una procedura che utilizza micro-uav per eseguire indagini di fotogrammetria e analisi di monitoraggio in scenari di frana: le immagini acquisite vengono poi elaborate con algoritmi di computer vision e sviluppate per applicazioni fotografiche”, spiegano Daniele Giordan e Andrea Manconi dell’IRPI-CNR, autori di un recente studio. “Grazie alla particolare forma a V del drone utilizzato nei nostri studi, le eliche non rientrano nel campo visivo della telecamera durante il volo e la nuova configurazione dei motori garantisce una maggiore affidabilità nelle aree urbane. Alcuni esempi di applicazioni dimostrano le potenzialità di questo metodo in scenari di frane reali”.
Un ulteriore contributo per l’osservazione in tempo reale dei fenomeni franosi arriva dal progetto europeo LAMPRE (LAndslide Modelling and tools for vulnerability assessment Preparedness and REcovery management): “Nell’ambito della collaborazione pluriennale con il Dipartimento della Protezione Civile è stato messo a punto un sistema prototipale: ogni ora, il “Sistema d’allertamento nazionale per la possibile occorrenza di fenomeni franosi indotti da piogge” (SANF) integra le misure di oltre 2.000 pluviometri e le confronta con le soglie di pioggia delle mappe di suscettibilità da frana, così da monitorare in tempo reale il possibile verificarsi di nuovi fenomeni”, dichiara il direttore di IRPI-CNR Fausto Guzzetti, che conclude: “Riconoscere, mappare e prevenire le frane innescate da precipitazioni intense, da un terremoto o dalla rapida fusione della neve è importante, sia per capire e misurare come si evolve il paesaggio, sia per scopi di protezione civile e per la corretta pianificazione territoriale. I nostri ricercatori hanno messo a punto tecnologie che raggiungono accuratezze inedite per la mappatura di frane a partire da immagini satellitari ottiche ad altissima risoluzione”.
Testo redatto su fonte CNR del 16 settembre 2014
Per approfondimenti: IAEG www.iaeg.info – SEDALP Project www.sedalp.eu – LAMPRE Project www.lampre-project.eu
Image credit: SEDALP Project
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
DISSESTO IDROGEOLOGICO
Il CNR sviluppa “Sm2Rain”, un algoritmo che, mediante l’utilizzo di misurazioni satellitari sulle precipitazioni, permette di stimare il rischio di frane e inondazioni
30.06.2014
Testo dell’articolo
“Abbiamo sviluppato una tecnica innovativa per la stima da sensori satellitari delle precipitazioni, che utilizza misure di contenuto d’acqua del suolo anziché, come nelle metodologie tradizionali, informazioni relative alle nubi: un approccio bottom-up e non top-down, in pratica”, spiega Luca Brocca, ricercatore IRPI-CNR e autore della ricerca. “Misurando da satellite e/o in situ le variazioni della quantità di acqua contenuta al suolo è possibile stimare le precipitazioni cadute sul suolo stesso, che è considerato come una sorta di pluviometro naturale”.
L’algoritmo utilizza, come dati, le quantità dell’acqua assorbita dal terreno, di quella evaporata e di quella che resta in superficie: “In termini tecnici, Sm2Rain fa riferimento all’inversione dell’equazione di bilancio idrologico del suolo calcolando la ripartizione delle precipitazioni in infiltrazione, evapotraspirazione e deflusso. Assumendo che l’evapotraspirazione e il deflusso durante un evento di pioggia sono trascurabili, si ottiene una relazione esplicita che fornisce la stima delle precipitazioni in funzione del solo contenuto del suolo”, conclude Brocca. “L’approccio è stato applicato a scala globale in molte aree del pianeta tra cui Mediterraneo, Australia, India, Cina, Sud Africa e parte centrale degli Stati Uniti d’America, e ha fornito risultati anche più accurati rispetto alle tecniche tradizionali che hanno importanti ricadute per la previsione degli eventi idrologici estremi quali piene fluviali e frane, poiché rende possibile la stima delle precipitazioni e la gestione del rischio anche in assenza di pluviometri e sistemi di misura a terra”.
La ricerca sui satelliti meteorologici per misurare le precipitazioni in maniera precisa ed efficace è sempre più considerata: il 27 febbraio scorso è stato lanciato il nuovo satellite della missione congiunta NASA-JAXA GPM (Global Precipitation Measurement), che rappresenta un ulteriore importante sviluppo per la stima delle precipitazioni da remoto.
Testo redatto su fonte CNR del 30 giugno 2014
Per approfondimenti: Soil as a natural rain gauge: Estimating global rainfall from satellite soil moisture data – Journal of Geophysical Research: Atmospheres | 16.05.2014
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
L’ISPRA presenta l’Inventario delle emissioni: nel 2012 in calo quelle dei gas climalteranti, mentre in 22 anni le emissioni di CO2 sono scese di 59 mln di tonnellate
21.04.2014
Testo dell’articolo
Tra il 1990 e il 2012 le emissioni di tutti i gas serra considerati dal Protocollo di Kyoto sono passate da 519 a 460 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, variazione ottenuta principalmente grazie alla riduzione delle emissioni di CO2, che contribuiscono per l’84% del totale e risultano, nel 2012, inferiori del 4,6% rispetto al 1990. Le emissioni di metano (CH4) e di protossido di azoto (N2O) sono rispettivamente pari a circa il 7.6% e 6.0% del totale e sono in calo sia per il metano (-20.6%) che per il protossido di azoto (-25.9%). Gli altri gas serra, gas fluorurati quali idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) e esafluoruro di zolfo (SF6), hanno un peso complessivo sul totale delle emissioni che varia tra lo 0.1% e l’2%; le emissioni degli HFC evidenziano una forte crescita, mentre le emissioni di PFC decrescono e quelle di SF6 mostrano un minore incremento.
I settori della produzione di energia e dei trasporti sono quelli più importanti, contribuendo alla metà delle emissioni nazionali di gas climalteranti. Rispetto al 1990, le emissioni di gas serra del settore trasporti sono aumentate del 2.9%, a causa dell’incremento della mobilità di merci e passeggeri; per il trasporto su strada, ad esempio, le percorrenze complessive (veicoli x km) per le merci sono aumentate del 37%, e per il trasporto passeggeri del 18%. Per il secondo anno consecutivo, però, si riscontra una riduzione delle percorrenze di merci ed anche i consumi energetici del settore, dopo aver raggiunto un picco nel 2007, sono in riduzione.
Sempre rispetto al 1990, nel 2012 le emissioni delle industrie energetiche sono diminuite dell’8.0%, a fronte di un aumento della produzione di energia termoelettrica da 178.6 Terawattora (TWh) a 217.6 TWh, e dei consumi di energia elettrica da 218.7 TWh a 307.2 TWh. Dall’analisi dell’andamento delle emissioni di CO2 per unità energetica totale, emerge che l’andamento delle
emissioni di CO2 negli anni ’90 ha seguito sostanzialmente quello dei consumi energetici; solamente negli ultimi anni si delinea un disaccoppiamento delle curve, dovuto principalmente alla sostituzione di combustibili a più alto contenuto di carbonio con il gas naturale nella produzione di energia elettrica e nell’industria e ad un incremento dell’utilizzo di fonti rinnovabili.
Nel periodo 1990-2012, le emissioni energetiche dal settore residenziale e servizi sono aumentate dell’8.2%. A questo proposito si può osservare che in Italia il consumo di metano nel settore civile era già diffuso nei primi anni ’90 e la crescita delle emissioni, in termini strutturali, è invece correlata all’aumento del numero delle abitazioni e dei relativi impianti di riscaldamento oltre che, in termini congiunturali, ai fattori climatici annuali. Le emissioni del settore dell’industria manifatturiera sono diminuite del 36.8% rispetto al 1990 prevalentemente in considerazione dell’incremento nell’utilizzo del gas naturale in sostituzione dell’olio combustibile per produrre energia e calore e per gli ultimi anni a seguito del calo della produzione industriale.
Per quel che riguarda il settore dei processi industriali, nel 2012 le emissioni sono diminuite del 26.5% rispetto al 1990. L’andamento delle emissioni è determinato prevalentemente dalla forte riduzione delle emissioni di N2O (-96.5%) nel settore chimico, grazie all’adozione di tecnologie di abbattimento delle emissioni nella produzione dell’acido nitrico e acido adipico. D’altro lato le emissioni dei gas fluorurati, in particolare di quelli utilizzati per la refrigerazione e per l’aria condizionata, sono aumentate del 244.3% dal 1990.
Le emissioni dal settore dell’agricoltura sono diminuite del 16.0% tra il 1990 e il 2012. La riduzione principale si è ottenuta nelle emissioni dovute alla fermentazione enterica (-13.1%) e alle deiezioni animali (-26.4%) poiché sono diminuiti i capi allevati, in particolare bovini e vacche da latte, e, grazie a un minor uso di fertilizzanti azotati, anche alle emissioni dai suoli agricoli (-15.0%). Negli ultimi anni si è registrato un incremento della produzione e raccolta di biogas dalle deiezioni animali a fini energetici, evitando emissioni di metano dallo stoccaggio delle stesse.
Nella gestione e trattamento dei rifiuti, le emissioni sono diminuite del 17.5%, e sono destinate a ridursi nei prossimi anni, per la riduzione delle emissioni dallo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in discarica, avvenuta attraverso il miglioramento dell’efficienza di captazione del biogas e la riduzione di materia organica biodegradabile in discarica grazie alla raccolta differenziata. Da un’analisi di sintesi della serie storica dei dati di emissione dal 1990 al 2012, si evidenzia che le emissioni nazionali totali dei gas serra, espresse in CO2 equivalente, sono diminuite dell’11.4% nel 2012 rispetto all’anno base (corrispondente al 1990). Considerando la media delle emissioni del periodo 2008-2012, la riduzione rispetto all’anno base è di 4.6% a fronte dell’impegno nazionale di riduzione del 6.5% nello stesso periodo.
L’obiettivo del Protocollo di Kyoto va calcolato sulla media delle emissioni del quinquennio 2008-2012. La stima del gap effettivo calcolato secondo le regole previste dal Protocollo (in considerazione dell’apporto dei crediti forestali e di quelli già acquisiti derivanti dai meccanismi flessibili) è pari a 16.9 Mt CO2 eq per l’intero periodo. Tale gap consente all’Italia di raggiungere l’obiettivo di Kyoto con uno sforzo limitato attraverso l’utilizzo di ulteriori crediti consentiti dai meccanismi flessibili del Protocollo (Emissions Trading, Clean Development Mechanisms).
Testo redatto su fonte ISPRA del 16 aprile 2014
Image credit: Joseph Sohm/Shutterstock
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Nei Laboratori di Frascati dell’INFN un superlaser per studiare l’atmosfera, in particolare per analizzare il particolato atmosferico a distanza e a differenti altitudini
25.03.2014
Testo dell’articolo
“La tecnologia laser ormai è conosciuta e impiegata comunemente – spiega Massimo Petrarca, primo firmatario dell’articolo – si usa un laser quando si ascolta un CD o per correggere la miopia, per fare un paio di esempi, ma l’avvento di laser estremamente potenti, sempre più compatti e con particolari caratteristiche dell’impulso di luce, come FLAME, apre la porta a un dominio di utilizzi e applicazioni avanzate, come ad esempio agli acceleratori di particelle del futuro, e sarebbe bello se tra qualche anno questi strumenti altamente tecnologici e affascinanti potessero essere impiegati stabilmente per la risoluzione di problemi d’interesse sociale”, conclude Petrarca.
Come funziona
Il fascio da 100 TW (centomila miliardi di watt) di FLAME viene inviato nel cielo sovrastante il Laboratorio INFN di Frascati per studiare gli effetti dell’interazione del laser ultrapotente con i gas dell’atmosfera. Durante queste operazioni i ricercatori sono sempre in contatto con i controllori di volo dell’Aeroporto di Ciampino. Il fascio laser di FLAME propagando nell’atmosfera, a causa della sua enorme potenza di picco, si divide in circa 1.000 microcanali di luce (fenomeno detto di filamentazione) che si estendono per centinaia di metri. Altri due fasci laser di diverso colore e di minor potenza vengono inviati insieme al laser principale per studiare gli effetti che quest’ultimo produce sull’atmosfera osservando con un telescopio equipaggiato con rivelatori molto sensibili (fotomoltiplicatori) la luce retrodiffusa dall’atmosfera.
Gli esperimenti condotti ai LNF grazie al superlaser FLAME stanno consentendo agli scienziati di ampliare le conoscenze sulla fisica delle interazioni tra gas e impulsi laser ultra potenti, nel caso della propagazione nell’atmosfera. Le grandi intensità trasportate da questi filamenti e la loro capacità di propagarsi quasi imperturbati su lunghe distanze rendono il loro studio interessante per molti aspetti che riguardano la fisica applicata. (Image credit: INFN)
Testo redatto su fonte INFN del 24 marzo 2014
Per approfondimenti: White-light femtosecond Lidar at 100 TW power level – Applied Physics B | 13.12.2013
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Gli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi naturali ed antropici: confronto tra esperti all’ENEA nell’ambito del progetto europeo LIFE FO3REST
25.01.2014
Testo dell’articolo
Alessandra De Marco, responsabile per l’ENEA del progetto europeo LIFE FO3REST che valuta gli impatti dell’ozono troposferico e dei cambiamenti climatici sulle foreste francesi ed italiane sottolinea : “Per la valutazione degli impatti degli inquinanti atmosferici sulla vegetazione occorre stabilire quali siano gli indicatori più validi da usare, se quelli basati sulle concentrazioni di inquinanti in atmosfera o quelli basati sul reale assorbimento degli inquinanti da parte della vegetazione. Il progetto LIFE FO3REST si prefigge di indicare gli standard più adeguati per proteggere le foreste in ambiente mediterraneo”. Il progetto LIFE FO3REST, a cui partecipano ENEA e CNR con il coordinamento della società francese, ACRI-ST, ha infatti messo in evidenza che le foreste francesi e italiane sono l’area geografica nella quale l’ozono supera di gran lunga gli standard attualmente suggeriti per la protezione della vegetazione, anche a causa delle particolari condizioni climatiche e di irradiazione. É stato fatto anche il punto sugli effetti dell’inquinamento atmosferico su tutti gli altri ecosistemi, dalle acque, all’ambiente urbano, ai materiali e ai beni culturali, alla biodiversità, con particolare attenzione per strumenti innovativi di valutazione quali la modellistica integrata.
Per quanto riguarda gli effetti degli inquinanti sulla salute dell’uomo messi in evidenza da studi recenti Alessandra De Marco precisa: “Una grande rilevanza ha acquisito ultimamente il ruolo dell’azoto, che ha impatti su quasi tutti gli ecosistemi. Le principali fonti di inquinamento da azoto sono i trasporti e l’agricoltura: è stato valutato che circa il 75% dell’inquinamento da ammoniaca deriva dagli allevamenti, e gli elevati consumi di proteine animali, oltre ad avere un impatto negativo sulla salute umana, hanno anche effetti negativi sull’ambiente”. Alessandra De Marco evidenzia inoltre: “Nonostante la diffusione di misure per la riduzione dell’inquinamento atmosferico, gli impatti negativi su ambiente e salute sono ancora presenti in molti Paesi Europei, come risulta anche dal Rapporto 2013 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA). Per proseguire il percorso di sostenibilità avviato, l’Europa dovrà dunque rendere più stringenti le attuali normative”.
Testo redatto su fonte ENEA del 24 gennaio 2014
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
MITIGAZIONE DEI RISCHI ANTROPICI
EDEN: un grande progetto a collaborazione europea per fronteggiare gli eventi legati al rischio chimico, biologico, radiologico, nucleare ed agli esplosivi (CBRNe)
22.12.2013
Testo dell’articolo
Il progetto EDEN, che ha preso avvio a settembre 2013, ha durata di tre anni, prevede il collegamento tra utenti finali, enti di Ricerca e Industrie ed è caratterizzato da un approccio altamente innovativo nello sviluppo delle attività di ricerca nel campo degli eventi CBRNe. La condivisione dei risultati tra le parti interessate, costituirà il punto di forza nell’intero ciclo di gestione da parte dell’’Europa di fronte a tali eventi.
L’obiettivo primario del progetto è quello di fornire soluzioni atte a migliorare la prevenzione, l’interoperabilità e l’efficacia di risposta tra gli operatori che si trovano nelle aree interessate da eventi CBRNe, consentendo anche più efficienti interventi di recupero. Il progetto prevede che entro la fine delle attività di ricerca siano state realizzate tre azioni dimostrative per una convalida delle soluzioni proposte in EDEN. Con questo progetto la Commissione Europea intende portare ad un livello superiore di maturità la capacità di resilienza della società europea, quando si tratta di eventi CBRNe. Il progetto si avvarrà anche dei risultati ottenuti in precedenti progetti sul tema Security (PRACTICE, DECOTESSC1) ed è finalizzato a testare sul campo, con azioni dimostrative, la validità delle soluzioni ricercate.
Il progetto EDEN si avvale di un consorzio composto da trentasei partecipanti provenienti da quindici paesi diversi (dell’UE e paesi associati) coordinati dalla BAE Systems. Il consorzio comprende sei principali categorie di attori CBRNe: gli utenti finali che costituiscono le principali parti interessate, grandi industrie, piccole e medie imprese, Università e Enti di Ricerca.
I 36 partner del Consorzio EDEN collaboreranno per realizzare lo sviluppo di un “sistema multiforme di approccio di sistema”, che fornirà una soluzione europea su misura in grado di migliorare il livello di coordinamento tra i diversi operatori nel campo CBRNe. Una caratteristica che distingue il progetto EDEN è l’attivazione delle piattaforme degli Utenti Finali, delle PMI e dei Fornitori. Si tratta di organismi aperti dove le parti in causa possono accedere prendendo parte attivamente al progetto contribuendo con i propri suggerimenti e commenti. I soggetti interessati e le PMI possono anche mettere a disposizione le loro attrezzature, tecnologie e relativi servizi ai piani di emergenza CBRNe elaborati nel progetto, per arricchire ulteriormente i risultati di EDEN e per potenziare gli eventi dimostrativi previsti. Attualmente, la Piattaforma degli Utenti Finali End User include 60 partecipanti provenienti da 20 paesi, la piattaforma per le PMI 34 membri e la piattaforma dei fornitori ne conta 19. Tutte le piattaforme hanno la possibilità di ampliamento con l’accesso a nuove organizzazioni.
Per chiarire il grado di pericolosità che si intende per incidenti CBRNe, si citano a titolo di esempio alcuni degli eventi più eclatanti che hanno portato a un numero elevato di vittime e causato ingenti danni socio–economico, come l’utilizzo di armi chimiche recentemente accaduto nel corso del conflitto siriano, la grande esplosione nella fabbrica AZF di fertilizzanti avvenuta a Tolosa nel 2001 e la mortale diffusione di E.coli che ha colpito la Germania nel maggio 2011.
Testo redatto su fonte ENEA del 20 dicembre 2013
Per approfondimenti: www.eden-security-fp7.eu
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata